Con il grafene, nello spazio a vele spiegate


Il gruppo di ricerca GrapheneX, composto da quattro studenti di dottorato all’Università tecnica di Delft, in Olanda, ha esplorato la possibilità di utilizzare il grafene come materiale per vele solari, una forma di propulsione spaziale che utilizza solo la spinta fornita dalla pressione di radiazione della luce su una superficie riflettente. Per farlo, ha utilizzato un impulso laser proiettato su una membrana di grafene fluttuante in microgravità. La condizione di pressoché totale assenza di peso per qualche secondo è stata ottenuta all’interno della torre di caduta Zarm dell’Università di Brema, in Germania, dove una capsula contenente l’esperimento viene fatta cadere per i 146 metri di altezza della torre. «Se si vuole realizzare una vela solare è molto importante che i materiali con cui si costruisce siano molto leggeri» spiega Vera Janssen, dottoranda di ricerca nel gruppo GrapheneX. «La robustezza e la leggerezza estreme sono ovviamente i principali vantaggi dell’utilizzo del grafene». «Wow, che settimana! L’esperimento è finalmente riuscito al rilascio finale. Esperienza incredibile e molto su cui studiare a casa», ha scritto il team di ricerca sul proprio profilo Twitter a conclusione della serie di esperimenti. Il secondo gruppo di ricerca è salito ancora più in alto, su un aeroplano attrezzato per i voli parabolici, durante i quali si può arrivare ad avere fino a 25 secondi di assenza di peso. Dopo risultati promettenti ottenuti a terra, ora i ricercatori del Graphene Flagship hanno sperimentato come rivestimenti a base di grafene possano migliorare l’efficienza degli scambiatori di calore capillari, noti come loop heat pipes, anche in condizioni di microgravità. Si tratta di fondamentali sistemi di raffreddamento usati nei satelliti e negli strumenti aerospaziali, nei quali la mancanza d’aria richiede soluzioni tecnologiche specifiche per disperdere il calore verso lo spazio profondo. Il raffreddamento si ottiene convertendo un liquido di lavoro in un gas all’interno di un materiale poroso, solitamente metallo. Sostituendo il materiale metallico con un composito a base di grafene e metallo, i ricercatori mirano a migliorare il trasferimento di calore tra le unità da raffreddare e il fluido che attraversa questi particolari scambiatori di calore. Il rivestimento in grafene è stato realizzato nei laboratori di Bologna degli istituti Cnr-Isof e Cnr-Imm, e presso il Cambridge Graphene Center. L’esperimento è stato predisposto all’interno di un modulo appositamente progettato per tenere tutto in posizione durante i periodi di gravità modificata, assemblato presso il Centro di Ricerca in Microgravità dell’Università di Bruxelles. «Nella prima fase dell’esperimento avevamo testato l’effetto del grafene su evaporatori metallici in laboratorio, su piccoli prototipi», spiega a Media Inaf Vincenzo Palermo del Cnr-Isof, vice-direttore del progetto Graphene Flagship. «Ora, grazie anche all’aiuto dell’Esa, abbiamo collaudato questi materiali in condizioni più realistiche e vicine al loro utilizzo finale sui satelliti, facendoli funzionare in condizioni di ipergravità e microgravità. Abbiamo una grande quantità di dati, che saranno analizzati nelle prossime settimane». «Ho partecipato a questo progetto con enorme curiosità, sia per la scienza che era in gioco sia per la collaborazione tra diversi gruppi e l’opportunità di sentirci come dei piccoli astronauti», commenta Meganne Christian, ricercatrice del Cnr-Imm, appena rientrata in Italia dopo i voli parabolici in microgravità. «L’esperienza in microgravità è stata unica e meravigliosa, ed è stato entusiasmante fare esperimenti in quell’ambiente. Non vedo l’ora di analizzare i dati e implementare dei miglioramenti nella procedura per la prossima campagna di voli a dicembre».


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